L’oratorio di Sant’Antonio

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di Renzo Toffoli

Data:

22 Aprile 2024

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Descrizione

L’oratorio di S. Antonio di Padova in Via Chiodo, situato nei pressi dell’attuale centrale di trasformazione elettrica, era la cappella della villa dei nobili Grassi di Venezia, - che sorgeva nell’area della predetta centrale - pesantemente rovinata durante la Grande Guerra. L’edificio sacro, coevo alla villa distrutta e risalente ai primi decenni del 1700, lo troviamo elencato nel 1735 tra gli oratori esistenti nel comune di Salgareda. Ma la prima relazione particolareggiata dell’edificio fu stesa in occasione della visita pastorale del 1799. L’oratorio sotto il titolo di “Sant’Antonio di Padova, esistente nel colmello di Candolé” è definito “oratorio pubblico” di proprietà della nobildonna Paolina Grassi Donà. Così prosegue la descrizione: “L’alzata dell’altare è tutta in marmo, con tre simulacri di marmo di Carrara: uno nel mezzo, ed è di Santo Antonio di Padova; gli altri ai due lati cioè, alla dritta San Pietro d’Alcantara; e, a sinistra, San Francesco di Paola. In esso altare vi sono tre nicchi per reliquie, ricavati nei tre piedistalli dei tre simulacri […]”. Nel suo insieme la relazione è ottima. Si tratta di un oratorio importante, nel quale si celebrava una S. Messa ogni giorno da un cappellano, probabilmente il mansionario di casa Grassi Donà. All’inizio del 1800 la villa e l’oratorio dalla famiglia Grassi Donà passarono in proprietà a Valentino Orrasch, che amava presentarsi con questo titolo: “negoziante all’ingrosso, patentato e possidente”. L’acquisto avvenne il primo maggio 1807: l’allora proprietario, il N.H. Giustin Paolo Donà, vendette tutta la tenuta di Candolé al commerciante veneziano. Questo commerciante, alla sua cospicua fortuna finanziaria, assommava anche una buona dose di zelo religioso. Infatti, alle tre statue già esistenti nell’oratorio aggiunse anche quella di Santa Maria Maddalena e di San Valentino e nel 1809 ottenne da papa Pio VII, con bolla emessa da Santa Maria Maggiore a Roma il 16 gennaio, un nuovo privilegio per la sua cappella. Questo nuovo privilegio, oltre a confermare la già esistente indulgenza plenaria per i fedeli che avessero visitato l’oratorio nel giorno di Sant’Antonio di Padova, estendeva tale indulgenza anche a tutti i fedeli che si fossero recati in quel luogo il giorno di San Valentino, data dell’onomastico del commerciante. Dalla famiglia Orrasch la proprietà passò ai Dalla Balla e poi ai Tommaseo. Il 28 aprile del 1918 una granata italiana lesionò gravemente l’oratorio e, durante la battaglia del solstizio (15 – 24 giugno 1918), fu bombardata anche la villa padronale. Nei primissimi anni del dopoguerra la villa fu ricostruita dalla famiglia Tommaseo in tutt’altro luogo: sempre in territorio di Salgareda, lungo la strada Postumia che da Ponte di Piave conduce ad Oderzo, attualmente proprietà della famiglia Stefanel. L’oratorio rimase così abbandonato nelle sue rovine per più di vent’anni. Solo alla fine degli anni Trenta, l’oratorio venne restaurato dalla famiglia Tommaseo e inaugurato il 13 giugno 1939. Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, nelle adiacenze dell’oratorio, l’Enel iniziò la costruzione della centrale elettrica di trasformazione e l’edificio di culto venne quasi “incassato” dentro questa nuova area. I lavori della costruzione della centrale, con le conseguenti vibrazioni prodotte dalle macchine operatrici, sconnessero le tegole del tetto che, lasciato all’azione delle acque meteoriche per diversi anni, crollò completamente. Negli anni Ottanta l’Amministrazione Comunale di Salgareda, nuova proprietaria dell’oratorio, provvide al rifacimento del tetto e, sciaguratamente, sostituì il pavimento in cotto con una colata di cemento, re-intonacò le pareti interne con l’intonacatrice, apparecchio appena comparso sul mercato edile, che sembrava un’ottima soluzione per l’oratorio settecentesco… Prima di questo intervento, quando la proprietà era ancora della famiglia Tommaseo, al fine di preservare le statue dal degrado, le medesime furono tolte dall’oratorio. Sant’Antonio fu collocato nell’arcipretale di Salgareda sull’altare omonimo davanti alla pala già esistente, costituendo così un doppione senza senso, mentre San Francesco di Paola e San Pietro d’Alcantara furono portate dal sig. Alessandro Dalla Nora, allora amministratore della famiglia Tommaseo, nella nuova cripta della chiesa parrocchiale di Ponte di Piave. Successivamente, nei primi anni Novanta, il parroco di Ponte di Piave, don Luigi Marconato, tolse le due statue dalla cripta e le appoggiò sul muricciolo esterno di recinzione della casa canonica. Allora noi, che conoscevamo bene la provenienza di quelle statue (mentre il parroco di Ponte di Piave la ignorava), consapevoli che il proprietario dell’oratorio e dei suoi manufatti era il Comune di Salgareda, interessammo l’allora sindaco Giuseppe Meneghel perché si adoperasse a toglierle da quella infelice e oltremodo pericolosa posizione e riportarle al sicuro in qualche luogo più adatto della parrocchia o del Comune. Le statue in argomento furono così collocate su due piedistalli di fattura dozzinale all’interno dell’oratorio di Candolè, e la statua mutila di San Valentino confinata nella sacrestia dello stesso edificio. Chissà se negli anni a venire una futura amministrazione comunale avrà la sensibilità (e le possibilità di bilancio) di restaurare l’oratorio, ricollocare le statue di Sant’Antonio, San Pietro D’Alcantara e San Francesco di Paola al loro posto sull’altare ancora esistente e trovare una collocazione anche alla statua mutila di San Valentino; infatti; tutte e quattro le opere in argomento dovrebbero, a parere dello scrivente, essere ascritte ad un vincolo di pertinenzialità all’oratorio stesso. Quantomeno, questa è la nostra speranza…

Renzo Toffoli

Ultimo aggiornamento: 22/04/2024, 17:16

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